LA GENETICA DEI DISTURBI ALIMENTARI: IMPLICAZIONI CLINICHE E DIREZIONI FUTUR

A cura di: Maria Grazia Rubeo – Responsabile UOL Roma
Fonte: Sara E. Trace, J.M. Bake, Eva Penas-Lledo, CM Bullik. The genetics of eating disorder. Ann Rev. Clin. Psycol 2013, 9 589-620.

Le teorie più attuali sulla patogenesi dei Disturbi dell’Alimentazione (DA) hanno preso in considerazione un modello di tipo biopsicosociale in cui vari fattori interagiscono insieme per determinarne la malattia. Gli studi utilizzati, che hanno contribuito alla comprensione della predisposizione genetica a questi disturbi, sono quelli sui gemelli e di biologia molecolare, di linkage e di associazione. Gli studi di linkage indicano le regioni cromosomiche in cui si trovano i geni coinvolti in una malattia, valutando se due loci tendono ad essere ereditati insieme a causa della loro vicinanza sul cromosoma mentre quelli di associazione verificano l’esistenza di una correlazione tra alleli specifici ed una determinata malattia: sono più attendibili di quelli di linkage e richiedono la conoscenza a priori di regioni geniche candidate.
La combinazione o addizione degli effetti di più geni contribuiscono a determinare il fenotipo e in questo modello ogni gene è responsabile in piccola proporzione della sua variabilità (GxG) in combinazione con fattori ambientali (GxE). Negli ultimi anni gli studi di biologia molecolare applicati alla genetica hanno identificato alterazioni nella sequenza dell’acido desossiribonucleico e nell’espressione di geni coinvolti nello sviluppo di comportamenti alimentari disturbati che possono contribuire alla diversa risposta al trattamento delle persone affette da DA.
Questo articolo vuole prendere in considerazione la letteratura scientifica degli studi di genetica dell’Anoressia Nervosa (AN), Bulimia Nervosa (BN), e Binge Eating Disorder (BED) per capire le direzioni future e le implicazioni cliniche della ricerca.

Anoressia nervosa
Nell’AN esiste una familiarità con i familiari di 1° grado che hanno una probabilità 11 volte superiore di sviluppare la malattia nel corso della propria vita rispetto ai controlli. Gli studi di linkage hanno suggerito che i cromosomi interessati sono l’ 1, 2, 4 e 13 con il cromosoma 1 che possiede i recettori Delta degli Oppioidi (ORPD1) e i recettori della serotonina (5HT) e 1D (5- HTR 1D). Per quanto riguarda il sistema serotoninergico questo sembra essere coinvolto nella regolazione dell’umore, appetito, regolazione del peso corporeo anche se sembra implicato nella patofisiologia di numerosi disturbi psichiatrici e non produce una vulnerabilità specifica per i DA. Molta attenzione è stata data al recettore 5-HT2A della serotonina con una meta analisi del 2003 che ha evidenziato come il polimorfismo del 1438G/A del recettore 5-HT2A sia associato in maniera significativa con il rischio di sviluppare AN. In realtà, successivamente, questo polimorfismo è stato considerato implicato più che nel rischio, nell’età di insorgenza. Il sistema dopaminergico, invece, modula le emozioni, i processi di pensiero, l’attività motoria e alcuni comportamenti di ricerca di stupefacenti. Kaye e al. nel 2004 hanno ipotizzato un ruolo del sistema dopaminergico nella perdita di peso, nell’iperattività, nell’amenorrea, nel disturbo dell’immagine corporea e nei comportamenti ossessivo-compulsivi. Il gene della catecolaminometiltransferasi (COMT) sembrava avere un ruolo nell’AN anche se studi più recenti non hanno indicato influenze significative. È stato inoltre ipotizzato che gli individui con AN hanno una disregolazione del sistema degli oppioidi e che la restrizione e l’iperattività sono un mezzo per aumentare la gratificazione.

Bulimia nervosa
Gli studi effettuati indicano che i parenti di persone affette da AN o BN hanno una maggiore probabilità di sviluppare la BN e gli studi sui gemelli indicano una ereditarietà che varia dal 28% all’ 83%. Gli studi di linkage hanno preso in considerazione il cromosoma 10 e il 14. Sebbene il sistema serotoninergico sia quello più studiato nella BN gli studi che hanno preso in considerazione il polimorfismo del 5-HTTLPR (serotonin transporter linked polymorphic region) non hanno dato risultati consistenti.
Attualmente i campioni presi in considerazione sono piccoli e le poche evidenze dimostrate non sono state confermate in studi successivi. Il sistema dopaminergico ha suscitato interesse nella BN anche se tutte le anomalie riscontrate sono emerse dagli studi di neuroimaging e non è chiaro se siano preesistenti o una conseguenza della malattia. Per quanto riguarda i geni che regolano l’appetito e l’introito di cibo esistono pochi studi tra cui quello di Miyasaka del 2006 che ha esaminato il gene del recettore della grelina e il tipo CC sembra essere un fattore di rischio per la BN. Per il sistema dei cannabinoidi gli individui affetti da BN rispetto ai controlli hanno un interessamento del gene che codifica il FAAH (fatty acid amide hydrolase), che è il principale enzima che degrada gli endocannabinoidi con presenza del genotipo AC e l’allele A. Considerando che la compulsione verso il cibo è un aspetto centrale nella BN si capisce come questo sistema sia ritenuto importante nello sviluppo di questa malattia. Come nell’AN, sebbene ci sia familiarità, ancora non sono stati evidenziati con esattezza i loci delle regioni cromosomiche coinvolte che determinano la suscettibilità alla BN.

Binge eating disorder
Il BED ha ricevuto molte attenzioni e anche le ricerche sull’influenza della genetica nello sviluppo di questa malattia stanno aumentando. In uno dei primi studi sulla familiarità Fowler e Bulik (1997) hanno messo a confronto 20 donne obese con BED e 20 donne obese senza BED, studiando una serie di variabili inclusa la storia psichiatrica della famiglia. Nel primo gruppo la percentuale nei parenti che presentava il BED è risultato più elevato che nei controlli. Il BED presenta una familiarità indipendente dal problema di peso e la maggior parte delle ricerche successive ha confermato questo dato. Gli studi di genetica del sistema serotoninergico hanno ipotizzato un coinvolgimento del 5 HTTLRP ma come nell’AN e nella BN, sebbene sia dimostrata una familiarità, non è stato ancora evidenziato il coinvolgimento di nessun gene specifico. Una particolare caratteristica degli studi effettuati nel BED e che la maggior parte sono condotti in individui obesi e in soprappeso. Il ruolo dell’obesità non deve essere confondente nelle future indagini.

Ereditarietà dei sintomi e tratti
Gli studi sui gemelli e di biologia molecolare hanno posto l’attenzione sui sintomi (abbuffate, vomito autoindotto) o sui fattori psicopatologici che costituiscono il core dei DA (ricerca della magrezza). Un approccio ai singoli item utilizzati dal DSM IV è stata usata per esaminare l’influenza dei fattori genetici e ambientali anche dei singoli criteri diagnostici in considerazione del fatto che c’è migrazione tra un disturbo e l’altro nel corso del tempo ed esiste una trasmissione crociata tra AN, BN e BED. Questi studi hanno evidenziato come alcuni sintomi siano ereditabili in maniera differente con una più alta ereditarietà per le abbuffate e il vomito autoindotto (29%-34%), più bassa per altri come la ricerca della magrezza (18%-24%), anche se non sono state evidenziate regioni cromosomiche precise. I fattori genetici non agiscono da soli ma in sinergia con fattori ambientali. In altre parole, l’esposizione ad un determinato ambiente viene influenzata da fattori genetici che a loro volta però possono determinare la scelta da parte dell’individuo di una ambiente che di per se costituisce una fattore di rischio come il mondo della moda o della danza.

Conclusioni
Anche se gli studi di genetica sull’AN, BN e BED sono ancora inconsistenti ed i campioni presi in considerazione troppo piccoli, l’influenza di una predisposizione genetica è riconosciuta. Queste ricerche, inoltre, hanno portato a rivalutare la conoscenza di come l’ambiente eserciti la sua influenza sulle persone geneticamente vulnerabili ai DA e ha stimolato lo sviluppo di nuovi modelli per spiegare come geni e ambiente interagiscono per determinare questo genere di malattie, anche perché non tutte le persone esposte ad un certo ambiente si ammalano di un DA.

Per quanto riguarda le implicazioni cliniche l’identificazione di varianti genetiche può aiutare a includere queste informazioni negli interventi di prevenzione e negli interventi psicoeducazionali in cui si identificano i fattori genetici e ambientali che hanno provocato il disturbo. È importante educare i pazienti alla complessità di questa interazione in modo che la vulnerabilità genetica non diventi uno stigma che riduce l’autostima, ma un aiuto su come gestire la risposta di alcune persone a certi fattori ambientali con abilità adeguate. Le indagini genetiche inoltre potrebbero portare a chiarire ulteriormente le vie neurobiologiche implicate nei DA e rilevare anche bersagli farmacologici adeguati, laddove necessari.